Sandra Pietrini

Università degli Studi di Trento

Per una mimica degli affetti: Alamanno Morelli e i trattati di recitazione dell’Ottocento.

Introduzione a A. Morelli, Note sull’arte drammatica rappresentativa, Manuale dell’artista drammatico, Prontuario delle pose sceniche, a cura di S. Pietrini, con un contributo di S. Stefanelli, ristampa anastatica, Collana “Reperti”, Trento, Università degli Studi di Trento , 2007, pp. XI-LX.

Morelli - Prontuario pose

I trattati di mimica di Alamanno Morelli (1812-1893), acclamato attore del teatro di prosa, si inseriscono all’interno di un filone teorico di riflessioni sull’arte della recitazione che raggiunse il culmine nella seconda metà dell’Ottocento. Dai semplici manuali come il Prontuario delle pose sceniche (1854) ai più ponderosi trattati sull’espressività, la saggistica sul teatro ebbe una grande diffusione, correlata all’istituzione delle prime scuole di recitazione e al trionfo del ‘grande attore’, su cui si accentra l’attenzione del pubblico e della critica. Scritti da semplici letterati o da famosi attori dell’epoca ritiratisi dalle scene, i trattati di mimica cercano di dare dignità e professionalità a un mestiere ancora legato alla tradizione dei guitti e alla trasmissione diretta del sapere artistico. Continua

L’immagine del teatro nei manoscritti francesi della città di Dio

Pubblicato in “Dintorni”, 3, Incontri a Sant’Agostino: dalla tarda antichità al Medioevo, a cura di L.C. Rossi e A.M. Testaverde, 2007, pp. 11-38.

dintorni

Nella lunga tradizione dei manoscritti della Città di Dio di sant’Agostino, una svolta importante è costituita dalla traduzione e commento dell’opera in francese da parte di un vecchio erudito francese, Raoul de Presles, a cui intorno al 1370 Carlo V commissionò l’impresa per divulgare il pensiero dei grandi autori cristiani. Raoul de Presles affiancò alle descrizioni dei ludi scenici tramandate da altri eruditi, come Thomas Waleys e Nicola Trevet, analogie tratte dalla contemporaneità, per meglio illustrare un fenomeno ormai lontano e indefinito. Le sue descrizioni stimolarono la verve artistica degli illustratori dei manoscritti, che inventarono edifici bizzarri e dinamiche sceniche fantastiche, in cui il teatro è via via rappresentato come un’esecuzione musicale, una giostra, una danza di corte o una lettura pubblica.

Mendicante

Pubblicato in Dizionario Tematico di Letteratura, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet, 2007, pp. 1460-1463.

Come esperienza tragica dei personaggi letterari, la mendicità ricorre fin dai tempi antichi (basti pensare a Ulisse ed Edipo) e viene riproposta fino al Rinascimento (si ritrova per esempio nel Re Lear di Shakespeare, dove sia il protagonista che Gloucester, traditi dai figli, finiscono mendici ed emarginati). A partire dal Cinquecento, il filone letterario legato all’accattonaggio e alle figure picaresche si sviluppa in particolare in Spagna (esemplare è la Vita di Lazarillo de Tormes, 1554). Emarginati dalla società, i mendicanti si riducono spesso a vivere di espedienti e conducono una vita avventurosa, come il protagonista del romanzo Il pitocco (1626) di Francisco de Quevedo. In ambito inglese, sullo sfruttamento dell’accattonaggio è incentrato il dramma di John Gay L’opera del mendicante (1728), a cui due secoli dopo si ispirerà Brecht per comporre L’opera da tre soldi. Nella narrativa romantica, la mendicità e gli ambienti degradati dei vagabondi fanno parte della ricostruzione del color locale, come in Notre-Dame di Parigi (1831) di Victor Hugo. Più strettamente connessa al tema dell’ingiustizia sociale è l’esperienza di accattonaggio di Oliver Twist nel romanzo eponimo di Dickens. Nel Novecento la figura del mendicante tende infine a sovrapporsi a quella del clochard o dello homeless metropolitano, nonché del sans papier extracomunitario. Si ritrova fra l’altro anche in molti film, da La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi, tratto dall’omonimo romanzo di di Josef Roth, a Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana.

Circo

Pubblicato in Dizionario Tematico di Letteratura, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet, 2006, pp. 434-437.

Dall’antichità ai giorni nostri il circo ha continuato ad affascinare il pubblico per la varietà dei suoi intrattenimenti. Nell’Ottocento, epoca d’oro del circo, i numeri si estesero fino a comprendere, oltre a spettacoli equestri e acrobatici, esibizioni di clown, animali ammaestrati e giochi di prestigio. A partire dall’Ottocento il circo compare anche nella narrativa . È talvolta un ambiente di duro lavoro, con personaggi crudeli che sfruttano senza scrupoli i bambini, ma può al contrario  racchiudere insospettati fiori di bontà e generosità, come in Hard Times (1854) di Dickens. Figura emblematica del circo è il clown, che fa la sua comparsa sulle scene inglesi intorno alla metà del XVI secolo, ma in epoche più recenti assumerà la tipica ambivalenza di un personaggio bifronte, che suscita il riso ma è profondamente malinconico. Dal lungo racconto clown Il sorriso ai piedi della scala di Henry Miller alle Opinioni di un clown di Heinrich Böll (1963), anche la letteratura del Novecento ha dedicato ampio spazio a questa figura. Due visioni grottesche del circo, fulminanti nella loro originalità, si trovano nei racconti di Kafka Primo dolore (1921) e Un digiunatore (1922). Nelle arti figurative, l’ambiente del circo ricorre in particolare nei dipinti degli impressionisti, come Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec, ma anche in quelli di Picasso. Il tema si ritrova spesso anche nel cinema, a partire dal Circo (1928) di Charlie Chaplin, che ripropone il luogo comune del pagliaccio malinconico e struggente, involontariamente comico ed emarginato dalla società.

La memoria del teatro antico nell’iconografia tardomedievale

Pubblicato in La scena assente? Realtà e leggenda sul teatro nel Medioevo, Atti del Convegno di Studi (Siena, Certosa di Pontignano, 13-16 giugno 2004), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 193-227.

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Nel corso del Medioevo, con la rinascita dell’interesse per il teatro antico si fa lentamente strada un’immagine della scena e dell’attore, composta per lo più da frammenti di reminiscenze erudite tramandate dai dizionari e dalle enciclopedie altomedievali. Le illustrazioni dei manoscritti terenziani e della traduzione francese della Città di Dio, con commento di Raoul de Presles, hanno contribuito a diffondere un fantasioso immaginario iconografico, in cui la scena teatrale è ricostruita mediante un’accumulazione di nozioni e la figura dell’attore si contamina con l’immagine degradata del giullare.

Un’insolita scena animata: l’immagine del teatro antico in un dipinto del Cinquecento

Pubblicato in “Venezia Arti”, 19-20, 2005-2006, pp. 47-60.

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In un disegno attribuito a Pirro Ligorio è raffigurato un teatro antico a forma semicircolare, con la cavea e l’orchestra, dove si stanno svolgendo una performance coreutica e una rappresentazione su un palco improvvisato. Se per certi aspetti il disegno si può annoverare fra le ricostruzioni archeologiche dei monumenti antichi, presenta tuttavia alcuni elementi incongrui e conflittuali, come la presenza di due palcoscenici e la ripresa di un altorilievo di epoca romana. Ancora più interessante è un dipinto quasi sconosciuto, di autore ignoto e datazione incerta, che raffigura un teatro molto simile. Forse attribuibile al Pozzoserrato, presenta varianti interessanti, che suscitano una serie di interrogativi a cui è possibile dare solo risposte ipotetiche. Entrambe le raffigurazioni rinviano comunque a un’immagine composita e ancora molto nebulosa della dinamica scenica, come se il teatro antico, di cui si sono riscoperte le forme architettoniche, fosse un contenitore vuoto da riempire con elementi disparati.

Fra finzione e passione: il lavoro dell’attore nella Faustin di Edmond de Goncourt

Pubblicato in “Ariel”, 2, maggio-agosto 2005, pp. 81-109. Quadrimestrale di drammaturgia dell’Istituto di Studi Pirandelliani e sul teatro Italiano Contemporaneo

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Se le riflessioni teoriche sulla preparazione dell’attore alla parte raggiungono nell’Ottocento una particolare densità e diffusione, interessanti suggestioni si trovano anche nei romanzi che narrano la vita di un’attrice, come la Faustin di Edmond de Goncourt e The Tragic Muse di Henry James. A partire dalla metà dell’Ottocento, l’idea dell’attore come individuo dotato di ‘personalità multiple’ si diffonde fra l’altro anche in ambito scientifico. La preparazione alla parte della Faustin si fonda sull’identificazione progressiva nel personaggio, con una permeabilità alle emozioni che espone al rischio della perdita di identità e dello sdoppiamento. D’altra parte, l’istinto teatrale e la capacità di trarre ispirazione dalle esperienze personali fanno della Faustin un esempio inquietante di attrice-sciacallo, che si nutre della vita per riversarla nella propria arte.

Medieval Ideas of the Ancient Actor and Roman Theater

Pubblicato in The Dramatic Tradition of the Middle Ages, New York, AMS Press, 2005, pp. 275-296.

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Throughout the Middle Ages, the ancient stage and acting were the subject of medieval reconstructions which also ispired the illustrators of manuscripts. Scattered comments referring to Roman theatre, mingled with observations from contemporary spectacles, were derived from early medieval glossaries and found their way into the antiquarian definitions of learned humanists. The identity of the actor in the medieval conception of ancient theatre is blurred and influenced by the performances of jesters. This indefinite idea of theatre is also to be caught in the illustrations of the comedies of Terentius and in some XVth century miniatures of the City of God, translated and commented by Raoul de Presles, where the ludi scenici are represented as a court dance or a sort of tournament.

Medieval Institute Publications Western Michigan University