Sandra Pietrini

Università degli Studi di Trento

I giullari nell’immaginario medievale

Roma, Bulzoni, 2011, pp. 361.

copProfessionisti del divertimento, i giullari animano la vita delle città e delle corti medievali. Quando non accorrono alle feste bandite dagli aristocratici, danno spettacolo nelle taverne, sulle piazze e lungo le strade, producendosi in performances musicali, giochi, acrobazie, affabulazioni ed esercizi di abilità di vario genere. A partire dal XIII secolo, alcuni intrattenitori si stabilirono in modo permanente a corte, sottraendosi ai disagi di una vita girovaga per diventare menestrelli o buffoni. Nell’immaginario figurativo che ha finito per prevalere, il giullare è assimilato al buffone di corte, con il costume bicolore a tinte vivaci, il cappello a sonagli e la marotte. E tuttavia, dall’universo composito di scene profane, comiche, scurrili e persino blasfeme che popolano le sculture delle cattedrali e le drôleries dei manoscritti gotici emerge un’iconografia molto più variegata dell’intrattenimento. Assimilati agli altri emarginati della società medievale, i giullari erano considerati dagli scrittori cristiani “alleati del demonio” e “cornamuse del diavolo”, mentre le giullaresse erano equiparate alle prostitute. L’immagine negativa degli intrattenitori si riversa anche nell’iconografia biblica, in particolare attraverso la figura di Salomè e l’insipiens del Salmo 52. Sulla base di fonti iconografiche e letterarie, il volume intende ricostruire l’immagine del giullare nella cultura medievale, esplorandone i vari livelli interpretativi anche alla luce dei pregiudizi della cultura dominante.

Giullari e scimmie nell’iconografia medievale

Pubblicato in “Biblioteca Teatrale”, n.s., 37-38, gennaio-giugno 1996, pp. 101-125. Bulzoni Editore.

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Fra gli intrattenitori girovaghi, l’ammaestratore di scimmie è una figura professionale molto diffusa nel basso Medioevo ed è spesso raffigurato nell’iconografia. Nelle miniature e nelle sculture, il giullare è spesso assimilato alla scimmia, un animale considerato immondo e talvolta associato al demonio. Questa analogia rinvia all’idea della deformità fisica come segno di degenerazione morale e trova conferma nelle condanne degli scrittori cristiani, che considerano la trasformazione del corpo una perdita di dignità umana. Come scrive nel XIII secolo Guglielmo Peraldo, “il buffone è come la capra e la scimmia, con le quali si diverte il diavolo, spingendo gli uomini al riso”. Continua